Più del 70% della superficie terrestre è ricoperta dagli oceani, per un volume totale di 1,38 miliardi di chilometri cubi. Produce metà dell’ossigeno immesso nell’atmosfera ed è la principale fonte alimentare per oltre tre miliardi di persone.
Secondo le proiezioni dell’OCSE, entro il 2030 la “blue economy” – ovvero tutti i settori economici che hanno un collegamento diretto o indiretto con gli oceani, come l’energia marina, il turismo costiero e la biotecnologia marina – potrebbe avere un impatto positivo sia in termini di valore aggiunto che di occupazione.
In particolare, i settori tradizionali della blue energy – ovvero quelli legati alla produzione di energia rinnovabile marina – contribuiscono a circa l’1,5% del PIL dell’UE, con quasi 5 milioni di posti di lavoro, senza considerare l’indotto.
Secondo i dati Eurostat elaborati dalla Commissione Europea, il comparto produce 650 miliardi di euro di fatturato e 176 miliardi di euro di valore aggiunto lordo, con un utile lordo di 68 miliardi di euro.
In Italia genera circa 20 miliardi di euro di valore aggiunto al Pil nazionale e dà lavoro ad oltre 390.000 persone.
A ciò vanno aggiunti anche i settori emergenti che si occupano di innovazione, come le energie rinnovabili oceaniche, la biotecnologia blu, la produzione di alghe, lo sviluppo di attrezzi da pesca, il ripristino degli ecosistemi marini. La loro presenza sul mercato inizia a creare nuovi sbocchi commerciali e di conseguenza diversi posti di lavoro in più.
Nel complesso, la blue economy ed in particolare la blue energy costituisce una grande industria, fondamentale anche per il Green Deal Europeo, il Recovery Plan e la stessa Commissione Europea, che ha pubblicato una strategia per utilizzare tutte le energie rinnovabili off shore – cioè quelle lontane dalla costa.
L’obiettivo è “dare coerenza tra i settori dell’economia blu, facilitando la loro coesistenza e la ricerca sinergie nello spazio marittimo, senza danneggiare l’ambiente. Sottolinea inoltre la necessità di investire nella ricerca, nelle competenze e nell’innovazione”, per far aumentare l’importanza delle energie rinnovabili marine del 5% entro il 2030 e del 25% entro il 2050.
La transizione verso la blue economy richiede investimenti soprattutto in tecnologie innovative e nello sviluppo dei porti come centri energetici e di connessione con le economie regionali e con quelle dei paesi europei.
In questo modo, entro il 2050 si potrebbe generare un mix di energia oceanica che includa quella proveniente dalle onde, dalle maree insieme all’eolica e termica, pari ad un quarto dell’elettricità dell’UE. E il potenziale di crescita economica riguarderà anche il Mediterraneo.
di Pamela Chiodi
Commenti recenti