Riabitare i luoghi di un tempo, abbandonati per cercare lavoro altrove.
È una conseguenza indotta soprattutto dagli ultimi due anni di pandemia da Covid-19, a cui si aggiungono gli attuali sconvolgimenti geopolitici, sociali ed economici.
I piccoli paesi iniziano ad acquisire un nuovo ruolo. Da territori ricchi di tradizioni, storia ed arte da visitare solo come mete turistiche, a nuovi spazi dov’è possibile tornare anche a lavorare, grazie allo smart working.
Il termine stesso “paese”, rimanda alla comunità, ovvero una dimensione in cui è possibile instaurare relazioni ed attività che valorizzino la coesione sociale ed il recupero di territori come spazi vivibili, a misura d’uomo.
L’ipotesi di tornare a vivere nei borghi è supportata anche dalla crescente sensibilità verso un approccio al consumo più sobrio e dalla conseguente ricerca di valori autentici, svincolati dalle logiche del sistema capitalistico in favore di uno stile di vita meno frenetico. Che è ancora possibile condurre nei piccoli paesi.
Si tratta di un processo già iniziato in seguito alle ripercussioni determinate dal cambiamento climatico, messe in luce dalla comunicazione ambientale. Che non solo ha sensibilizzato l’opinione pubblica sulle problematiche legate allo stato di salute del nostro Pianeta, ma ha anche individuato una soluzione nella rinascita culturale come sostituzione del concetto di abbondanza con quello di semplicità.
Un nuovo paradigma che Accenture – società di consulenza strategica – definisce “nature positive”, il quale “ guadagnerà popolarità nei prossimi anni. Nature-positive significa migliorare la resilienza del nostro pianeta e delle società per arrestare e invertire le perdite subite dalla natura.”
I principi di questa corrente di pensiero trovano terreno fertile nel desiderio di tornare ai valori tipici dei piccoli paesi. Luoghi dov’è ancora possibile formare quello spirito collettivo che favorisca la rigenerazione culturale riprogettando e recuperando il patrimonio territoriale delle zone interne.
Perché i piccoli centri abitati non sono solo borghi.
Il paese è casa. E l’Italia è un Paese di paesi come afferma l’antropologo Pietro Clemente: “il paese è concetto nostro, italiano, di una società multiforme, paesana e cittadina, dallo Stato debole e dalla periferia resistente, in cui l’unità è raggiunta davvero quando – senza scandalo – si può dire che essere italiani è appartenere a un Paese fatto essenzialmente di paesi.”
L’importanza dei piccoli paesi era già evidente circa dieci anni fa, quando è stata riconosciuta durante la riunione dell’High-level delegation of Mayors and Regional authorities tenutasi nel 2012 a New York.
L’ex Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, ha preso atto del fatto che i piccoli paesi sono luoghi fondamentali per “concretizzare i progetti e le azioni necessarie per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs).
Le ragioni sono riconducibili a tre fattori: 1) i borghi sono i luoghi dove vivono i cittadini e senza un loro contributo diretto non sarà possibile puntare alla ripensabilità del territorio nella direzione dello sviluppo sostenibile;
2) i borghi rappresentano i luoghi nei quali è possibile costruire alleanze e forme di partnership con tutti gli attori civili, sociali ed economici indispensabili per trasformare in pratiche gli SDGs; 3) i borghi sono i luoghi di coltivazione comune e condivisa di un’identità di tipo sociale.”
“Un paese ci vuole”, come scriveva Cesare Pavese alla metà del ‘900.
E con il PNRR sono 66 i miliardi di euro – pari a un terzo del totale dei fondi messi a disposizione – sono riservati a investimenti affidati alla gestione dei territori.
“In particolare, 20 miliardi per quanto riguarda il Mezzogiorno, ai quali si sommeranno circa 9 miliardi di React-EU, 54 miliardi di Fondi strutturali europei e 58 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione.”
Il Ministero della Cultura ha previsto anche lo stanziamento di un miliardo di euro per il Piano Nazionale Borghi, iniziativa che ha l’intento di valorizzare i comuni ed i borghi italiani per vincere la sfida del ripopolamento. I piani di lavoro saranno da presentare entro il 15 marzo prossimo.
L’intervento è composto da due diverse linee di azione.
In particolare, la prima – la Linea A – prevede 420 milioni di euro che saranno destinati ai 21 comuni (uno per ciascuna Regione o Provincia Autonoma), “a rischio estinzione” per via dello spopolamento.
Altri 380 milioni di euro, che fanno parte della seconda linea di azione – Linea B – saranno finalizzati alla realizzazione di progetti di almeno 229 borghi storici selezionati tramite avviso pubblico rivolto ai Comuni.
Infine, circa 200 milioni di euro messi a disposizione con bando successivo alla seconda componente, saranno stanziati per imprese che si occuperanno di attività culturali, turistiche, commerciali, agroalimentari e artigianali per realizzare piani di rinnovamento culturale.
L’obiettivo di invertire la rotta dello spopolamento nelle aree interne, può concretizzarsi anche grazie alla tecnologia, che come si è avuto modo di constatare durante gli anni di pandemia, ha consentito il lavoro in smartworking e non solo.
Ha determinato la nascita e l’aumento di nuove figure professionali digitali che possono lavorare ovunque ci sia una connessione adatta, compresi i piccoli paesi dove in molti sono già andati, spinti dall’esigenza di condurre una vita più sostenibile, anche economicamente.
Se, come scrisse l’intellettuale Pier Paolo Pasolini di cui il 5 marzo scorso si è celebrato il centenario dalla nascita, la civiltà dei consumi ha “distrutto le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato,” oggi, come ieri, è ancora possibile la trasformazione verso il progresso. Non un ritorno anacronistico del passato. Ma l’occasione di creare quello “spirito culturale” necessario ai piccoli paesi come lo sono i tasselli di un mosaico di diversità, che compongono la natura umana.
di Pamela Chiodi
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