C’è un dato che forse meglio di qualunque altro sintetizza l’urgenza di uno scatto globale a livello di politiche di contrasto del cambiamento climatico, ovvero la ricorrenza del cosiddetto “Earth Overshoot Day”, il giorno X in cui il nostro pianeta avrà esaurito tutte le risorse naturali previste per l’anno in corso.

Cadrà nel 2021 il 29 luglio, rispetto al 22 agosto del 2020. Il salto desta impressione e l’ampiezza dipende dal fatto che l’anno scorso è stato influenzato dalla pandemia che ha drasticamente ridotto il consumo di risorse. Per avere un’idea del ritmo, comunque impressionante, basti qualche evidenza: nel 2009 eravamo fermi al 16 agosto, nel 2000 al 22 settembre, nel 1990 al 10 ottobre. La sostanziale parità, ovvero l’equilibrio tra risorse prodotte e consumate risale al 1970, un tempo relativamente vicino: la rapidità della progressione evidenzia la voracità di un modello di sviluppo che in pochi decenni ha di fatto spremuto la Terra, sempre più intensamente, oltre le proprie possibilità. È evidente che si tratta di uno squilibrio da mitigare prima e invertire poi con la massima rapidità, prima che i già visibili effetti si aggravino ulteriormente.PUBBLICITÀ

Se c’è una circostanza di cui rallegrarsi questa è tuttavia costituita dal fatto che la consapevolezza è oramai acquisita a tutti i livelli: dai cittadini (lo ricordano periodicamente le indagini di opinione) ai decisori politici. È importante che i provvedimenti e le misure di rilancio per la fase post-covid sono in molti casi fondati proprio sulla necessità della transizione ecologica.

Il cosiddetto Recovery Plan europeo è in questo senso un modello, così come il corrispondente piano americano: un’ottima notizia è anche l’affermazione di Joe Biden alle elezioni americane, che ha imposto un modello opposto rispetto a quello negazionista sostenuto da Donald Trump. Nel caso dell’Unione europea il Recovery Plan è affiancato da un’ambiziosa legge per il clima che punta alla neutralità climatica entro il prossimo trentennio e alla riduzione delle emissioni del 55 per cento, rispetto ai livelli del 1990, nel prossimo decennio.

A livello diplomatico, si registra poi nei giorni scorsi la citazione dei cambiamenti climatici tra le minacce individuate dai leader dell’Alleanza Atlantica. Questa citazione avviene nell’ambito di un vertice Nato segnato dall’importante novità dell’individuazione della Cina come un rischio per la sicurezza per i Paesi dell’Alleanza. Una preoccupazione e un allarme che viaggiano in parallelo alla constatazione che su alcuni temi, tra cui appunto le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, la collaborazione con il gigante asiatico è imprescindibile.

Qui si torna al passaggio precedente: pur considerando apprezzabili le misure europee e americane, rimane l’evidenza dei fatti che senza un aumento degli sforzi di colossi come l’India, la Cina o il Brasile, i progressi rimarrebbero molto limitati. Il dialogo sul livello diplomatico diventa perciò irrinunciabile. L’approdo è quello della Conferenza per il Clima in programma nel novembre prossimo a Glasgow che, fuori da ogni possibile retorica, appare sempre più come l’ultima spiaggia. Le difficoltà, che a quanto pare sono determinate anche dalle chiusure della Cina, che si registrano finora negli incontri preparatori vanno affrontate e risolte per il successo di un percorso in cui l’umanità si gioca il suo futuro.

Michele Fina

(da Huffington Post)