Il dibattito pubblico di questi mesi è stato giustamente dominato dall’emergenza sanitaria, nelle sue molteplici sfaccettature. Anche la questione climatica ne ha risentito, se si fa eccezione per coloro che hanno osservato che questa emergenza non è altro che la prova generale degli effetti del caos climatico. Lo stesso stracitato David Quammen nel suo libro “Spillover” scriveva (già nel 2012) molto chiaramente: “queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra non sono meri accidenti […], sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria”.
La pandemia è arrivata proprio quando a livello di Unione europea si era affermata la consapevolezza dell’urgenza dell’affermazione di un modello di sviluppo alternativo, più sostenibile; consapevolezza che si era tradotta nella presentazione del Green New Deal.
SARS-CoV-2 ha cambiato le carte in tavola. Altre urgenze si sono imposte e l’Unione europea è stata chiamata a mostrare sufficiente reattività nel maturare, in un arco di tempo breve, scelte volte a parare i colpi terribili di natura economico/finanziaria determinati dalle conseguenze della pandemia. Quelli che apparivano come dogmi difficilmente scalfibili sono stati polverizzati: le prescrizioni del Patto di stabilità, la disciplina che riguarda gli aiuti di Stato e, anche se la questione è ancora aperta, l’indisponibilità dei Paesi a forme di mutualizzazione del debito.
Uno sforzo così rilevante per rispondere alla crisi deve sconfessare quanto programmato immediatamente prima per quanto riguarda la transizione verde, visto che questa richiede – per raggiungere l’o
La risposta per i vandeani è stata ed è tanto comoda quanto pericolosa: “La priorità è la ripartenza, e tutte le risorse disponibili vanno indirizzate in questa direzione. Sarebbe doppiamente sbagliato, del resto, investire in sforzi e interventi nel settore ambientale che present
Credo che una simile maniera di porre la questione sia, quando non puramente strumentale, del tutto sbagliata. La necessità di uscire dalla crisi offre l’opportunità (che diventa un obbligo se pensiamo alle future generazioni e non solo al nostro stretto presente) di agire all’attacco, ripensando i fondamenti del sistema produttivo.
Invece “agire in deroga” e alimentare il modello che ci ha portati dritti al collasso sarebbe profondamente miope e colpevole. Come il New Deal rappresentò una salutare rivol
La necessità di ripensare il nostro sistema economico e produttivo in un senso più sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che sociale, è resa più urgente dalla pandemia. Le necessarie azioni di contrasto al cambiamento climatico, che riguardano a medio termine la sopravvivenza del genere umano, sono oggi le stesse rispetto a qualche settimana fa.
Occorre piuttosto fare in modo che gli impegni su questo versante siano coordinati rispetto a quelli sottoscritti o in fase di sottoscrizione per quanto riguarda la risposta economica al contagio. Di più: che i due ordini di provvedimenti e misure siano tra di loro interconnessi, in modo da ottimizzare gli obiettivi e i risultati, ovvero la più rapida ripresa economica e una transizione ecologica che non danneggi le fasce di popolazione più vulnerabili.
Il piano di aiuti e gli strumenti finanziari europei costruiti o in fase di costruzione per contrastare gli effetti economici della pandemia andranno a sovrapporsi in molti casi con quelli originariamente pensati per il Green Deal, che non potrà che subire modifiche. Ma occorrerà che esse siano sinergiche rispetto ai due obiettivi citati, così come occorrerà grande flessibilità e lungimiranza nel riuscire a calibrare e potenziare alla luce delle nuove esigenze le “armi” messe in campo prima della pandemia: il Just Transition Fund in questo senso è un esempio particolarmente calzante, visto che oltre a non lasciare nessuno indietro nel percorso di transizione, potrebbe dare un notevole contributo nel rispondere all’emergenza sociale scatenata dal virus.
Michele Fina (da Huffington Post)
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