La sfida decisiva, per la nostra specie, è quella di una crescita rispettosa dei sistemi naturali e funzionale al ristabilimento di una generale condizione di equità. Resistere, naufraghi in mezzo all’Oceano, alla tentazione di bere l’acqua del mare. Cambiare. Evitare l’ostacolo, e non spingere sull’acceleratore sperando di passarci attraverso, salvo poi, inesorabilmente, soccombere.
Se non ne saremo capaci, la prospettiva, spiacevole ma probabile, è quella di un cedimento strutturale del tessuto economico e sociale prima e poi, inevitabilmente, del decadimento dei millenari equilibri ambientali del Pianeta.
La ricaduta teorica di questa presa di coscienza, da parte di Istituzioni sia pubbliche che private, ma anche di un sempre maggiore numero di persone in tutto il mondo, è decisiva, obbligata dal rapido incedere degli accadimenti.
“Prima che bruci l’Amazzonia/ finché ancora è tempo, mio amore” direbbe oggi il poeta turco Nazim Hikmet. Ciascuno sta provando un dolore al quale è impossibile sottrarsi, non rimanere come colpiti, offesi, incazzati, spaventati, diminuiti. I confini si assottigliano, gli Spiriti si fondono.
Il Mondo intero partecipa ad una giusta protesta contro il disboscamento e la distruzione di un eco-sistema che genera il 20% dell’ossigeno mondiale; ma il Presidente Bolsonaro continua a definirla una “questione interna al Brasile”, nella assurda pretesa di affrontare il problema nella “vecchia” prospettiva liberista, sovranista, anti ecologica..
Eppure la protesta non si ferma, ma anzi si propaga con maggiore forza, e mette in evidenza come le questioni climatiche possano (uno dei pochi segnali positivi e di speranza) richiamare all’impegno e alla partecipazione democratica una nuova generazione di “militanti per la salvezza del Pianeta e delle generazioni future”.
Tanto è vero che le istanze ambientaliste nascono e si sviluppano anche in Paesi nei quali vigono sistemi di governo non democratici, illiberali, autoritari.
Emblematico è il caso della Cina, dove, dopo un periodo di “caos giuridico” -dal 1949 al 1973 circa-, ed uno di assestamento della normativa e di adeguamento ai parametri internazionali (dal 1989 al 2000), l’amministrazione di Pechino ha finalmente iniziato ad affrontare -dopo aver dovuto prenderne atto- i problemi legati ad un intollerabile inquinamento in maniera efficace. La fine (?) del negazionismo iperproduttivistico.
Un cambio di passo decisivo, in questo senso, si registra anche nel rapporto tra il Regno di Mezzo e gli altri soggetti di diritto internazionale, a livello globale, in un contesto nel quale la realizzazione di concorrenti politiche di salvaguardia ambientale risulta evidentemente di grande importanza per la buona riuscita delle stesse.
I primi tangibili risultati della prima “primavera cinese”, di quella intensa mobilitazione politica e culturale, risalente proprio agli anni che vanno dal 1989 al 1998, che fu bagnata dal sangue dei cinesi -studenti e non solo-, coreggiosi e determinati nel chiedere al governo di Pechino un’agenda di ambiziose riforme sia in materia sociale che, appunto, ambientale.
Si pensi anche alla protesta esplosa il 6 agosto di quest’anno, in Turchia, a Kirazli, la stessa zona che fu teatro delle rivolte ecologiste di Gezi Park del 2013. A riaccendere la miccia è stata, in questo caso, la decisione del partito guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan di concedere a un’azienda canadese una licenza per lo sfruttamento giacimenti d’oro sul monte Ida, lo stesso Monte cantato da Omero nell’Iliade.
La popolazione locale e le associazioni ecologiste si opposte con successo ad una politica considerata retrograda e brutale, evidenziando una capacità di confronto con il potere pubblico capace di imporre il principio del controllo sociale sull’attività privata; in coerenza con una cultura ecologista che sta crescendo e che apre al futuro di un rinnovato protagonismo politico-culturale.
L’attenzione nei confronti dell’ecologia, dunque, diviene un naturale antidoto ad un esercizio indiscriminato del potere, veicolo della partecipazione popolare alla gestione del territorio.
Se si volesse dare agli eventi una traduzione contestuale, bisognerebbe concludere, oggi più di ieri, che il tema dell’ambiente è capace di dare nuovo slancio ad un modello di partecipazione “dal basso” all’esercizio del potere pubblico che sarebbe l’ideale compimento di un percorso di costruzione dello Stato di diritto iniziato dopo la caduta degli imperi, alla fine dell’Ottocento, quando l’agire pubblico smette di confinarsi nell’appagante ma illusorio paradiso meta-storico dello stato di polizia e inizia ad aprirsi ad una capacità di lettura dei processi di trasformazione assieme alla popolazione di riferimento.
E’ quanto sta avvenendo fra i giovani di Friday for futures (reduci dalle proteste nelle piazze del Global strike), e fra questi e molte Istituzioni pubbliche e private. Al punto che coloro i quali erano tradizionalmente bollati come poco sensibili ai problemi di natura politica, poco interessati all’individuazione di possibili soluzioni ed effettivamente poco inclini all’esercizio del voto -per ragioni anagrafiche in certi casi, per una forma precoce, addirittura endemica di disaffezione in altri-, rappresentano da qualche mese una risorsa importante di un dialogo, che dovrebbe essere costante, ampio, reciproco, tra gli enti pubblici e la cittadinanza. L’esempio, italiano -quando c’è da essere sovranisti…-, è quello del primo Tavolo di lavoro dedicato ai cambiamenti climatici, aperto il 31 maggio scorso, tra i rappresentati locali della stessa fondazione giovanile e la Città di Savona. Con un modello che potrebbe, dovrebbe essere replicato anche in contesti territoriali differenti.
D’altra parte, non è solo sul terreno della rappresentatività, ma anche su quello della partecipazione, della capacità di incidere sulle decisioni di chi governa che si misura la qualità di una democrazia.
Affinché possa verificarsi un auspicato, completo rivolgimento dello sguardo degli uomini sul mondo, dunque, sono essenziali la collaborazione, la volontà e la capacità di tutti i soggetti coinvolti, in tutto il mondo. Che si affianchino e lavorino insieme con lo scopo di rendere effettiva la garanzia dei bisogni e dei diritti legati alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Nonché della loro libertà, anche laddove questa libertà vorrebbe essere limitata, di rendersi partecipi di una visione ecologica dell’economia e della società, e di lottare per il diritto alla vita degli abitanti, animali, alberi dell’Amazzonia.” Finché ancora è tempo”.
Di buono c’è che è effettivamente in corso una sperimentazione che non è certo lineare né priva di contraddizioni, ma che ha la forza di collocare l’Ambiente al centro di tutte le politiche perseguite.
Per lo meno nella coscienza dei cittadini liberi ambientalisti di tutto il mondo, uniti.
Mi tornano alla mente i versi di una poesia di Emily Dickinson, la prima della quale si abbia notizia: la furia delle onde si duole sulla riva,/il mare occhi pensosi volge alla bianca luna,/ si fondono gli spiriti e fan solenni voti,/ l’onda non geme più, né pallida è la luna.
La questione ambientale è la grande questione del nostro tempo.
Sono ottimista, perché credo negli uomini.
Autore Cesare Massa
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