Di Carlo Alberto Barbieri,
Ordinario di Urbanistica al Politecnico di Torino
Il nuovo fronte di conflitto fra le due anime della maggioranza di governo è relativo alle normative urbanistico-edilizie: si torna a parlare di condono, riferendosi ai commi dell’articolo 37bis dello Sblocca-cantieri. Una normativa che consentirebbe la sanatoria ope legis di una serie di abusi minori su stabili edificati prima del 1977, offrendo al contempo alle regioni un alquanto impreciso margine di manovra nella modifica della lista di tali abusi e delle norme ammesse, configurando quello che viene definito “un colpo di spugna”.
L’idea, in effetti, non è nuova: da più parti negli ultimi anni è stata chiesta una misura del genere, francamente conveniente dal punto di vista elettorale per chi riuscisse a garantirne l’approvazione. Al solito, dovrà essere qualche minoranza accusata di scarsa vicinanza al popolo e di ambientalismo da salotto a dover sollevare qualche rilievo.
Iniziamo dicendo che questi problemi esistono; in Italia sono diffusi piccoli abusi relativi a difformità edilizie di lieve entità, non particolarmente preoccupanti dal punto di vista dell’impatto ambientale ed urbanistico e che in assenza di una legge che ne autorizzi una sanabilità rimangono da essere perseguiti a norma di legge (fino alla rimessa in pristino o demolizione) . Ma se si vuole fare una norma per affrontare questa problematica, bisognerebbe innanzitutto scegliere la strada di consentire una sanatoria legittima, che entri nel merito, senza automatismi ope legis. Sanare questi abusi (se davvero marginali e minori) deve essere possibile, ma deve essere necessario fare una regolare richiesta e l’autorità competente deve essere nelle condizioni di poter entrare nel merito.
Secondo rilievo: non si capisce perché dovrebbe essere tutto gratis. Vero è che parliamo di piccole difformità, ma al cittadino deve essere comunque chiesto un contributo, anche se minimale. Altrimenti, parliamo davvero di un colpo di spugna.
Terzo, il ruolo delle regioni: di solito gli enti locali accettano positivamente grado l’idea di poter integrare o adattare alle diversità territoriali le normative nazionali. In questo caso, però, potrebbe non essere opportuno, se il loro ruolo fosse quello di “dilatare” il “paniere” di ciò che può essere sanabile. Le regioni potrebbero invece regolamentare la modalità di esercizio della sanatoria, senza poter aumentare i casi previsti. Penso alle regioni del sud (dove è forse più diffusa la la presenza di degli abusivismi marginali in parola) o alle regioni del nord-est (dove non è minoritario un frainteso senso di “padroni a casa nostra”), in cui si potrebbe rischiare di incrementi della normativa che potrebbero anche tendere a prefigurare un più sostanziale ed esteso “condono”. Sarebbe giusto che la legge nazionale stabilisse che il paniere è delimitato, che devono essere opere modeste e marginalmente difformi dalla normativa e che si debba trattare, comunque, di casi non impattanti in maniera strutturale, se mai affidando alle regioni il compito di implementare la normativa della sanabiltà di esse.
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