Di Cesare Massa
Il tema della “sostenibilità ambientale dello sviluppo” sempre più si impone non come una scelta possibile, ma piuttosto come una ineludibile necessità. Una necessità dalla quale, quindi, non potranno prescindere le politiche degli stati nazionali e, per quello che ci riguarda più da vicino, dell’Europa.
La dimensione (almeno) continentale è, infatti, quella minima per lo sviluppo di politiche di sostenibilità ambientale efficaci; ed è anche la dimensione nella quale è possibile reperire le risorse finanziarie necessarie in un contesto ordinamentale unitario che garantisca tutti i paesi con riguardo al mantenimento di condizioni di reciprocità che non alterino la libera concorrenza, fra le imprese e fra i territori.
Una rivoluzione ambientale europea, dunque. Per riappropriarci dell’identità perduta. Per la prima volta dal 1972, infatti, a Katowice la delegazione europea si è mostrata piuttosto timida sui temi legati alla tutela dell’ambiente ed alla riconversione energetica. In parte anche in conseguenza delle politiche di austerità che hanno caratterizzato l’operato dei due attuali maggiori partiti europei, rispetto alle quali le parole di autocritica di questi giorni del Presidente Junker paiono ancora ben poca cosa.
Come finanziare le politiche ambientali, in assenza, almeno oggi, di una disposizione da parte delle istituzioni ad aumentare la spesa pubblica in tal senso? Una risposta a questa domanda potrebbe essere rappresentata anche dall’integrazione dei criteri ambientali nelle procedure di gara di scelta del contraente da parte delle pubbliche amministrazioni, posto che la contrattualistica pubblica costituisce circa il 16 per cento del PIL europeo.
In questo senso, strada da seguire è quella di una integrazione dei criteri di “sostenibilità ambientale”, per quanto innanzi evidenziato validi in tutta la comunità, nelle procedure amministrative –pur esse armonizzate- finalizzate all’acquisto di forniture e servizi e alla realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche. Criteri “promozionali”, che stimolino gli aspiranti contraenti privati a formulare offerte che migliorino le condizioni poste a base di gara e minimizzino l’impatto ambientale diretto e indiretto della prestazione che ci si impegna a rendere; e prescrizioni puntuali che vincolino al raggiungimento di livelli di impatto ambientale già definiti.
Non si parte dall’anno zero, anche (per certi versi soprattutto) in Italia. E’ già stato prodotto uno sforzo importante per definire i requisiti ambientali minimi delle prestazioni da rendere in favore delle pubbliche amministrazioni, requisiti da incorporare negli atti delle procedure di gara, in particolare nei capitolati tecnici e prestazionali. Le ultime Direttive Comunitarie sulla disciplina degli appalti pubblici, in realtà ancora troppo timidamente, affermano la possibilità di una valorizzazione, nell’ambito della procedura della “offerta economicamente più vantaggiosa” ed ai fini della valutazione comparativa delle offerte, dei profili di qualità ambientale delle offerte medesime.
Il recepimento nell’ordinamento nazionale, come innanzi accennato, va oltre: si prevede –art. 23 D.L.vo n. 56/2017, cd “correttivo”- l’obbligo di inserire nelle specifiche tecniche e nelle clausole contrattuali i Criteri Ambientali Minimi adottati dal Ministero dell’ambiente; la previsione esplicita –art. 95 D.L.vo n. 56/2016- di inserire nei criteri di valutazione della offerta economicamente più vantaggiosa le migliorie dei profili di qualità ambientale. Criteri promozionale e vincoli, per l’appunto. Certo, si tratta di strumenti che andranno implementati e perfezionati; ma la strada è segnata e non potrà essere invertita. Da questo punto di vista, ancora una volta, il problema sembra essere più quello che il Governo attuale non fa, rispetto quello che fa.
Come risolvere il problema della disapplicazione delle norme sull’obbligatorietà dell’uso dei criteri ambientali da parte di molte amministrazioni?. Quest’ultimo sembrerebbe essere una questione legata anche all’efficienza della pubblica amministrazione in termini di maggiore flessibilità delle procedure di gara. Un problema concreto, non più rinviabile, e sul quale ci aspetteremmo- il condizionale è d’obbligo- che il Governo si ponesse delle domande, nella prospettiva di un dibattito pubblico sull’opportunità di una revisione del Codice dei contratti pubblici e di un Piano Nazionale per l’implementazione dell’uso dei contratti verdi in Italia.
Nella consapevolezza che gli “Appalti Verdi” dovranno comunque costituire il futuro immediato dell’agire della pubblica amministrazione europea, perché o lo sviluppo sarà ambientalmente compatibile, o non sarà.
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