Di Michele Fina
L’Italia è sprovvista di molti componenti di base utili al proprio sistema industriale e in alcuni casi importa fino al 99% dei materiali che le servono per lavorare prodotti ad alta tecnologia e merci strategiche. “Fare meglio utilizzando meno risorse” è dunque da molto tempo una delle cifre dell’economia del nostro Paese, una caratteristica che ha aiutato ad esempio l’Italia ad occupare i primissimi posti in Europa per il tasso di circolarità della propria economia.
Si definisce economia circolare quel cambiamento del sistema economico che da un paradigma lineare (produco-consumo-getto) si sposta verso un assetto fondato su parole chiave quali prevenzione dello spreco di materie prime ed energia, riutilizzo di merci e beni, riciclo intensivo delle componenti. In parte per le condizioni strutturali, in parte per un concreto impegno da parte degli attori dell’economia del paese, l’Italia ha indicatori molto positivi riguardo i fondamentali dell’economia circolare: come illustrato da Fabrizio Vigni della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in occasione dei Tavoli della Transizione organizzati dal think tank “TES – Transizione Ecologica Solidale“, l’Italia è al primo posto fra i grandi Paesi europei per tasso di circolarità, ovvero per “il tasso di materie prime seconde utilizzate”, con il 18%. Ben oltre la media europea e sopra gli indicatori della Germania e con un trend in costante crescita negli ultimi anni. Ottimi anche i dati riguardanti la produttività d’uso delle risorse e il riciclo dei rifiuti.
Anche per questo quel che leggiamo nella bozza di Piano Integrato Energia e Clima che il Governo italiano ha inviato nelle scorse ore alla Commissione Europea appare insufficiente. Scrive Luca Aterini su Greenreport che “le 238 pagine del Piano non sembrano affatto brillare per ambizione”. Scorrendo infatti il documento approntato dal governo emergono nettamente i dubbi paventati da Andrea Orlando qualche giorno fa sull’HuffPost.
Il Governo sembra aver scelto la strada di un documento sostanzialmente compilativo e debole, soprattutto per quel che attiene all’economia circolare. Eppure le incentivazioni delle strategie di circolarità nell’utilizzo e riutilizzo di materie prime, su cui il sistema Paese si è già da anni impegnato, sono legate a doppio filo con l’emergenza climatica. Il settore del trattamento dei rifiuti, infatti, contribuisce sensibilmente all’emissione di gas climalteranti. Una drastica diminuzione dello smaltimento in discarica, non solo ridurrebbe le emissioni dirette ma determinerebbe un’ulteriore riduzione derivante dal recupero di energia.
Per raggiungere questi obiettivi al nostro Paese servono allora investimenti e potenziamenti per gli impianti di trattamento dei rifiuti; nel Piano parti significative della materia vengono rinviate al corso del 2019 e ad un successivo “decreto rifiuti”. Si parla poi di incentivi per i piccoli impianti di autoproduzione di energie rinnovabili: misura certamente auspicabile, di cui però rimane da capire la concreta attuazione. Di più: la transizione verso un’economia sostenibile è un processo non privo di costi, che difficilmente le PMI italiane possono affrontare da sole. Cambiare modelli economici e produttivi significa dover tornare a dialogare con i propri fornitori e clienti per modificare assetti a volte rodati. Per questo il coordinamento “FREE – Fonti rinnovabili ed efficienza energetica” ha scritto, nel suo documento di analisi e proposta di linee guida per il Piano integrato energia e clima, che “pioniere del passaggio all’economia circolare dovranno essere prevalentemente imprese di grandi dimensioni, con un forte potere contrattuale nei confronti dei fornitori”.
Verso questi soggetti il governo deve approntare meccanismi quali incentivazioni fiscali, impegno per il cambiamento dei quadri normativi e deve poi dare il buon esempio attraverso un netto incremento del “Green Public Procurement”, ovvero un reindirizzo di maggiori segmenti della spesa pubblica verso acquisti di prodotti e servizi sostenibili ed in linea con i principi dell’economia circolare, su cui pure il piano presenta degli accenni significativi.
Politiche e scelte del genere sosterranno la costruzione di una transizione verso un’economia sostenibile che non pesi sui segmenti più deboli della società. Per questo c’è bisogno di una decisa scelta politica da parte del Governo e della costruzione, allo stesso tempo, di un processo credibile, inclusivo e trasparente di coinvolgimento delle filiere industriali interessate e degli stakeholder significativi. Il quadro normativo europeo prevede ora sei mesi di tempo in cui la Commissione Europea avrà tempo per produrre le sue osservazioni prima di restituire la bozza di Piano al Governo italiano: il momento di coinvolgere il Paese in una grande discussione pubblica è, dunque, adesso.
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