Di Andrea Orlando
Si è conclusa pochi giorni prima di Natale la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, la COP24 di Katowice; il meeting, nonostante alcune opinioni critiche, assolutamente legittime, nel suo complesso ha avuto un esito incoraggiante. La cooperazione internazionale sui temi del clima e dell’energia risulta rilanciata, mentre le procedure di verifica degli avanzamenti sulla decarbonizzazione, che gli Stati hanno concordato, possono sicuramente essere definite un passo nella giusta direzione. L’Italia ha annunciato che uscirà dal carbone entro il 2025 e che sta lavorando al Piano energia e clima. Si tratta del Piano che, in linea con gli Accordi di Parigi, dovrà tracciare in dettaglio la strategia energetica del Paese nei prossimi anni e che deve essere inviato alla Commissione Europea entro il 31 dicembre di quest’anno. Un documento di grandissima rilevanza, che ridefinirà le nostre politiche industriali e che accompagnerà una transizione profonda dell’economia. Purtroppo ad oggi di questo Piano sappiamo poco o niente e su di esso non si è generato un dibattito pubblico consapevole delle implicazioni che avrà per il futuro del Paese.
Eppure il cambiamento climatico si sta imponendo nel mondo come la grande questione dei nostri giorni: è una realtà che appare ormai indiscutibile, le cui conseguenze sono fatti concreti, capaci di toccare le vite quotidiane dei cittadini. Il mare questa estate è arrivato sulle nostre coste a livelli mai raggiunti negli anni precedenti e la combinazione letale di abusivismo edilizio e fenomeni climatici estremi scatena tragedie di cui abbiamo ormai notizia sistematica, l’ultima circa un mese fa nel nostro meridione. È giusto ricordare che negli ultimi anni l’Italia ha dato prova di volersi impegnare con serietà sul fronte della riduzione delle emissioni di carbonio e su quello della transizione di interi settori economici verso fonti di energia a basso impatto.
A partire dal 2005 importanti politiche di incentivazione hanno prodotto risultati tangibili. L’Italia è prima tra i grandi Stati UE, con il 17,4%, per quota di rinnovabili nel consumo interno lordo, davanti a Spagna, Francia, Germania e Regno Unito ed è anche al quarto posto come produttore mondiale di biogas per un totale di circa 1.400 MW elettrici installati, più di Germania, Cina e Stati Uniti. Anche in materia di efficienza energetica il nostro Paese presenta performance interessanti, con consumi per unità di PIL generalmente inferiori agli altri partner europei. Certo questo non vuol dire che abbiamo esaurito il nostro compito e che tutto sia stato fatto al meglio. Come ha giustamente osservato Andrea Barbabella della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, in occasione del Tavolo sul Piano energia e clima organizzato di recente dal think tank “TES – Transizione Ecologica Solidale”, è possibile che alcuni fattori esterni alla politica, come la particolare configurazione geografica e meteorologica del nostro paese, abbiano favorito il raggiungimento di questi buoni risultati; inoltre, le misure di decarbonizzazione attivate negli ultimi anni sembrano ormai aver esaurito la loro capacità di impatto. Il Piano integrato per l’energia e il clima che dovrà essere predisposto è allora proprio lo strumento con cui un esecutivo, che faccia della tematica ambientale una sua priorità fondante, potrà illustrare al sistema economico del Paese come intende rilanciare la sua strategia per la transizione alla green economy. Uno Piano capace di individuare strumenti concreti e misure specifiche, normative e fiscali, per i cittadini; anche per superare le eventuali contraddizioni e diseguaglianze che una transizione ecologica può generare. E un indirizzo chiaro alle imprese, che vanno sostenute anche con conferenze di filiera energetico-produttiva, per risolvere problemi, superare ostacoli e accelerare le conversioni industriali.
Sarebbe un errore se il Governo componesse un documento contenente per lo più affermazioni di principio, senza misure concrete che raccolgano gli input che ci arrivano numerosi dal mondo delle imprese, dagli esperti, dai centri di ricerca e dalle associazioni ecologiste. Serve invece un percorso approfondito, trasparente e condiviso, che coinvolga gli stakeholder e le filiere industriali interessate alla transizione ecologica. Questo è un passaggio essenziale se l’obiettivo è comporre una posizione credibile da sottoporre alle istituzioni europee. I mezzi tecnici per affrontare la riconversione ecologica esistono già, si tratta di supportarne la diffusione con una intensa azione politica e con i giusti interventi normativi.
La protesta dei gilet gialli in Francia, innescata dalla proposta di rialzo delle imposte sui combustibili inquinanti, ci impone di riflettere sul fatto che non possono essere le fasce deboli a caricarsi degli oneri della transizione. Invece lo sviluppo intelligente di filiere industriali che facciano della sostenibilità la propria costante, potrebbe portare al conseguimento dei risultati sperati e, contemporaneamente, contribuire ad un rilancio dell’occupazione nazionale e a una rinnovata competitività internazionale dell’intero sistema paese.
Sottovalutare la centralità del Piano per l’energia e il clima dimostrerebbe che, nei fatti, l’Italia non riesce a tradurre in pratica le buone intenzioni: mentre il nostro Paese ha tutte le carte in regola, crediamo, per porsi fra i leader nella costruzione di un sistema economico ecosostenibile e proprio per questo per poter sostenere in maniera convincente anche la propria candidatura ad ospitare la COP26 del 2020.
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